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Tra la Coppa Italia ed il mercato: il punto di Matteo Boniciolli – 1 Mar

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La Coppa Italia sarà anche l’occasione per rivedere Matteo Boniciolli sulla panchina della Fortitudo. Tra il focolaio di polmonite e l’intervento alle vie respiratorie nasali, il coach biancoblù è stato costretto ad uno stop. Un lasso di tempo in cui la squadra è stata affidata a Stefano Comuzzo. Cinque vittorie in altrettante gare per lui, all’esordio da capo allenatore. Con tanto di sorpasso a Trieste, dopo averla battuta nello scontro diretto del PalaDozza.

 

 

 

Devo dire che sono stato male in questo periodo – dice Boniciolli nella conferenza pre Coppa Italia presso la sede di Lavoropiù in Via Indipendenza – Soprattutto per due fattori non collegati tra loro. Le indagini sulla polmonite hanno evidenziato altre problematiche, che mi hanno costretto all’intervento chirurgico. Più di un mese a casa, con interventi reiterati di medicine piuttosto pesanti, è stato impegnativo. Devo ringraziare molto anche Cristian Pavani. Quando mi hanno detto che per risolvere una serie di problema c’era bisogno dell’intervento chirurgico, gli ho chiesto se potessi farlo. Visto che è il mio datore di lavoro. L’intervento in sé poteva essere rimandato e allora ho parlato con Pavani. Lui mi ha detto di farlo subito perché c’era bisogno di me sano. L’ho vissuta male perché mi reputo un privilegiato: guadagno bene per fare un mestiere che mi piace. E il fatto di non poter fisicamente lavorare è stato complicato. Per fortuna, in questi anni insieme a Cristian, abbiamo costruito una struttura in grado di resistere con qualità nel momento di massimo stress. In questi quattro anni abbiamo costruito unna struttura solida, anche attraverso la certificazione della qualità di tutti i collaboratori. A partire da Comuzzo, arrivando a Parisi, Lopez ed al giovane Tasini. Tutti hanno avuto un riconoscimento di dignità professionale tale che quando il capo – ammesso che io lo sia- non c’è stato è andato tutto bene. E questa la reputo una grande vittoria”.

 

MEDICINA E PROCESSO. Poi, aggiunge: “Mi fa molta tenerezza chi individua nella mia assenza, il motivo di questo periodo positivo. C’è una squadra Nba nella quale si sono inventati un bel motto ‘Trust the process’, cioè fidati del processo. Il nostro è un processo in corso, non senza qualche difficoltà. Le abbiamo parzialmente risolte, trovando la medicina per rendere questo un gruppo importante. Una medicina dal punto di vista tecnico. All’inizio avevamo pensato che un gruppo con giocatori di alto livello potesse coesistere in una situazione in cui la lettura fosse più importante dell’esecuzione. Questo è andato bene fino a quando eravamo in sette. Poi, quando abbiamo recuperato tutti, abbiamo capito che quel sistema di lettura non funzionava. È stato quando realizzavamo 60 punti di media. Da quel sistema siamo passati ad uno di esecuzione all’interno del quale i giocatori avessero margini di lettura. Serviva una inversione di tendenza. Questo processo è iniziato quando io c’ero ancora. E alle difficoltà offensive abbiamo fatto fronte con la difesa. Oltre a questo c’è stato un altro problema. Molto più importante. A fronte dell’adesione incondizionata dei giocatori, perché a Bologna verrebbero tutti volentieri, quando abbiamo parlato con loro gli abbiamo detto che non avrebbero giocato più trentotto minuti in una squadra con obiettivi medi. Ma l’obiettivo finale sarebbe stato quello di ridurre minuti sul parquet per alzare l’intensità della performance. È stato questo il concetto chiave. La difficoltà è stata passare dall’io al noi. E mi viene da pensare che se c’è stata una cosa positiva nel mio periodo d’assenza è il fatto che i giocatori si siano ritrovati da soli con Comuzzo a dire ‘adesso dobbiamo fare qualcosa’. Io come ho collaborato? Parlando al telefono con qualche giocatore in questo periodo e preparando le partite con Stefano. Dopo la vittoria con Trieste era a casa mia fino all’una di notte per parlare di Verona. Le partite non le ho viste mai per intero. Guardavo molto Montalbano. Non essere lì è stato complicato”.

 

COPPA ITALIA. “Questa con la Fortitudo, per me, è l’ottava Final Eight. Ne ho vinte quattro. Il problema della Coppa, come si è visto in A, è che oltre al valore assoluto conta anche quello relativo della squadra in quel momento. La Coppa può essere devastante per il dopo. Nelle mie due finali, con Avellino e Virtus, mi sono delle ripercussioni sulla squadra nel breve periodo. E parlo per il dispendio di energie nervose, ancor prima che fisiche. Abbiamo avuto la fortuna che la società ha deciso di tenere Bryan. E ci sarà utile adesso, vista l’assenza di Mancinelli. Premesso che andremo a Bergamo per vincere e non voglio fare polemiche, ma non mi sembra giusto che una società altra abbia l’indisponibilità del campo, e che la Lega programmi il recupero pochi giorni dopo una manifestazione che ti può far giocare tre partite in tre giorni”.

 

MERCATO. “Con Stefano abbiamo riflettuto sui dubbi che aleggiano attorno McCamey. È un giocatore che è stato preso in una realtà dove, qualche anno fa, Djordjevic veniva tagliato. Rivers era il peggior play passato da Bologna. Meneghin veniva trattato come lo zimbello del Paese. Ma anche dove si esonerava un allenatore che aveva vinto una Coppa Italia. Abbiamo scelto una coppia di play compatibile. Uno di pensiero ed uno di azione. Fultz nel girone d’andata ha giocato due partite. McCamey ha giocato anche 38′ e a lungo è stato il miglior realizzatore. Non taglieremo mai McCamey. Con Pavani abbiamo individuato la posizione del play come quella più a rischio. Dal 2 al 5 abbiamo varie possibilità per arrangiarci, a fronte di momenti critici. Nella posizione del play siamo corti. E per quello abbiamo deciso di intervenire lì. Il profilo del giocatore che stiamo cerando è di quelli importanti. Stiamo cercando un giocatore che abbia la personalità per guidare una squadra con personalità importanti. O troviamo un colpo di fortuna, come capitò a me e Sarti a Udine con Charlie Smith, altrimenti andremo su una figura meno eclatante ma che ci possa garantire rotazioni in un settore in cui siamo corti. Cinciarini, Mancinelli e Rosselli valgono un americano in A2”.

 

LEGION. “Volevo chiarire che lui ci ha provato seriamente e con grande onestà. Ho avuto molti colloqui con lui. Ci siamo salutati quando abbiamo capito che il suo enorme sforzo per diventare un giocatore per platee più importanti era fallito. Lui ha talento ma non può pensare di maneggiare 50 possessi a gara per sentirsi dentro al flusso della partita. Anche altri hanno sofferto questo, come Amici. C’è chi ha deciso di continuare ad impegnarsi su questa strada e chi ha capito che non ce la faceva più. Abbiamo reputato opportuno interrompere il rapporto prima che la sofferenza diventasse palese”.

 

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