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Imola ’83: vincono la Ferrari e il ferrarismo

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“Ai pullman dell’Inter a Torino hanno tirato le sassate, a Patrese a Imola per fortuna invece si sono limitati a fischiarlo. L’avvocato Agnelli, simbolo del fair-play e della sportività, non può essere certo orgoglioso dei tifosi dei suoi fiori all’occhiello: la Juve e la Ferrari”. Così Eugenio Ziliotto su “Rombo”, il settimanale degli esuli di “Autosprint” capeggiati da Marcello Sabbatini, apostrofa quanto accaduto domenica 1° maggio 1983, a Imola. Il secondo GP di San Marino, il terzo consecutivo valido per il Mondiale che si corre sul Santerno (la prima volta fu GP d’Italia), è un denso intreccio di sentimenti e rancori. Quanta storia ha raccontato Imola, nella gioia e nel dolore, in un romanzo mai banale con tanti protagonisti ma un solo grande protagonista: il pubblico. E cosa è stato il GP dell’Emilia-Romagna 2020? Un ritorno, forzato, ma menomato, con le tribune vuote. Appostamenti sui van, scarpinate sulle alture, pur di vedere un lembo di circuito e una monoposto di qualsiasi colore (meglio se rossa) sfrecciare tra un albero e una porzione di prato. Di più, non era possibile.

E quel giorno di 38 anni fa, quando le tribune erano piene e una pandemia era immaginabile solo nei film di fantascienza, tutto si mischiò, con il pubblico grande protagonista. L’esultanza e l’avversione, la gioia e lo scherno. Duecentodiecimila spettatori in tutto il week-end di gara, per 3 miliardi e mezzo lordi di incasso. “Ferrarismo? No, grazie” si intitolava quel pezzo di “Rombo” di cui sopra. Giro numero 55, la Brabham di Patrese è davanti dopo aver recuperato undici secondi alla Ferrari di Tambay. L’italiano lo ha raggiunto e lo ha superato, portandosi in testa. “Avevo mangiato tutto il vantaggio a Tambay, per cui quando l’ho superato volevo viaggiare al solito ritmo per scrollarmelo di dosso. Quando sono arrivato alla curva delle Acque Minerali la pista era degradata…”. Degrado o no, Patrese arriva lungo e sbaglia: muro e addio corsa. Il tripudio dei ferraristi va oltre. Riccardo, già mortificato nel 1978 dopo essere stato additato come responsabile dell’ingarbugliato incidente a Monza le cui conseguenze finirono per uccidere Ronnie Peterson, salvo poi essere assolto, ancora una volta ha i nemici dietro casa. Stavolta è il pubblico, che di là dalle recinzioni gli urla di tutto. “Non capisco perché si debba fischiare un pilota italiano che va in testa e gioire addirittura quando va fuori pista. Evidentemente per gli italiani non contano i piloti, conta solo quella macchina lì…chiunque la guidi”, si sfoga Patrese a fine gara. Amarezza comprensibile: dopo 84 Gran Premi il padovano accarezzava il sogno della sua prima vittoria in Formula 1. L’altra Ferrari, quella di Arnoux, partita in pole-position, arriva terza. In mezzo a loro la Renault di un giovane Alain Prost. Ma quante cose raccontano quegli scherni. La bandiera più del singolo, la macchina più del pilota. La Ferrari, e non Patrese. Così come faceva Enzo, per il quale l’importante era la macchina e non i piloti, eccetto uno: quel ragazzo di nome Gilles che se n’era andato un anno prima.

E Tambay, quel giorno, dedica proprio a Villeneuve il primo posto: “Dall’inizio alla fine ho pensato a lui, e ho tentato di comportarmi come lui: mai mollare”. Tambay compie i 60 giri della gara in un’ora e trentasette minuti, a 185 km di media. E regala a Maranello la seconda vittoria consecutiva al “piccolo Nurburgring”, ben meno rumorosa di quella del 1982, quando Pironi aveva beffato Gilles non rispettando l’ordine dei box di mantenere le posizioni. Tambay vince con una 126 C2B forse meno efficiente della Brabham, e senza nemmeno tante modifiche rispetto alla gara precedente, ma una regolazione generale che aveva permesso quel salto di qualità vincente, finendo ciononostante con il restare senza benzina circa cento metri dopo aver tagliato il traguardo.

E gli altri? Valzer delle seccature. Soprattutto per l’Alfa Romeo: al venerdì, De Cesaris vola sulle gomme di protezione perché in uscita dalle Acque Minerali il gas resta inspiegabilmente giù, mentre Mauro Baldi alla domenica rompe il motore a un giro dal termine, dopo aver guidato metà gara con una sola mano, utilizzando l’altra per tener ferma la leva del cambio. Alboreto esce perché in una frenata gli si blocca di colpo la ruota posteriore, e anche Prost, pur secondo, ha da ridire: “Il motore non andava per nulla, e per giunta negli ultimi venti giri mi è venuta a mancare la quarta. Un risultato insperato vista la macchina che mi sono trovato a guidare…”. Nota a margine: la Goodyear regalò ai tifosi delle gomme usate, portate a casa dai fans con grande giubilo. A Imola può accadere davvero di tutto.

Il servizio della Domenica Sportiva dedicato al Gran Premio di San Marino 1983 (veroMagillino F1 su YouTube)

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