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L’inaDieguato – La mia Fede – 24 Maggio

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Non so com’è… le luci si spengono su questo campionato e a me viene in mente il refrain di una canzone di Ornella Vanoni: ecco la musica è finita e gli amici se ne vanno. Non è stata una stagione inutile però. O forse, se considerata non solo in veste rossoblù, un po’ sì. Possiamo dire che sia stato un campionato da brivido? Io direi proprio di no, almeno ai vertici. C’è stato un chiaro strapotere juventino che ha confermato un teorema facilmente dimostrabile: vince chi ci mette più soldi. Metti pure che i “bravi” telecronisti ce l’abbiano spiegata come faceva la prof nell’ora di epica. Cid Campeador non è certo l’Agghiacciande, bravo certamente a tenere tutti sulla corda per tutto il torneo. La superiore gagliardia dei rigati torinesi si spiega con la tabella del budget. Non si sfugge.
Possiamo dire che sia stato allora un campionato di grande qualità calcistica? Anche qui… lo scetticismo impera. L’Europa dimostra che il nostro calcio non ha decollato, ma non solo. Persino i 63 milioni di euro di penale con cui si può giungere a Cavani sembrano alla portata di club extra-italiani. Quello che voglio dire è che il mondo cambia a seconda del punto da cui si guarda. Che i “padroni del vapore” italico, spostando il punto di osservazione, diventano piccoli club, facili da fagocitare – se lo vogliono – da pesci assai maggiori.
Forse è una sensazione sbagliata, questa. ma io ce l’ho. Ed è una debolezza di provincia, lo so, ammetterlo.
Questo calcio “finto” che pure ci tiene attanagliati a una poltrona, che ci fa esultare e imprecare, somiglia tanto alla vita là fuori, dove viviamo inseguendo sogni, piccoli o grandi, spesso con ingenuità eppure ben sapendo che non è il paese delle meraviglie, e dovendo ingoiare bocconi amarissimi. Eppure andiamo avanti, un po’ per scelta e un po’ per necessità.
I mali del pallone di oggi io li devo persino ringraziare. Mi hanno curato dal tifo, dai dolori assoluti che ancora fanno parte del carattere di tanti tifosi che magari stanno proprio leggendo queste righe e che si illudono non sia così. I mali del pallone non mi hanno tolto i colori del cuore, quelli non sbiadiscono, ma mi hanno insegnato a soffrire meno. A non sedermi attorno a un Dio Pagano, così pagano da essere pronto a rispondere alle sirene della ricchezza e dell’ambizione, al caviale anzichè al pur genuino pane e salame.
La fede è un’altra cosa: non la si misura più cercando di trattenere chi vuole andare via, o chi deve andare via per necessità. La fede è più forte.
La fede non è materia per farisei e sepolcri imbiancati, per scribi sia pure ascoltati. La mia la misuro nelle certezze del passato, quello che nessuno mai può portarci via; ma anche in quelle del presente, se affidate alle persone giuste. La mia fede, in questi giorni di incertezza, è in banca. Il mio “promotore” ha un nome e un cognome: Stefano Pioli. Mi ha regalato le parole più belle, nel giorno del congedo. “Non ci sono nè se e nè ma – ha risposto all’ennesima e forse ultima voce di una sirena – io rimango qui a Bologna dove sto bene, sono gratificato e considerato”. Belle parole, lo scudetto di Bologna. Sì, uno scudetto: forse di più, se pensate alle tristi pantomime messe in scena dai protagonisti assoluti della commedia, Conte e Mazzarri.
Una fede, la mia, che va oltre i nomi dei futuri protagonisti. Perchè affonda le radici nelle certezze di un uomo tranquillo che crede nel lavoro. “Spero che Diamanti rimanga – ha detto – io rimango perchè abbiamo un progetto”. Se Alino saluterà la compagnia, sarà per sempre rossoblù nella mia memoria. Ha dato un grande esempio. E’ questa la mia autodifesa, messa in atto per tanti paladini che ho visto giocare qui e poi altrove. Dovesse andare via Alino, noi abbiamo Pioli. Cambieremo modulo, cambieremo gioco oltre che uomini. Pioli è la garanzia. Comunque vada, di certo non vestirò i panni furiosi del distacco, mi vestirò di futuro facendo leva su una fede incrollabile, rossa e blu. Più forte di qualsiasi nome e cognome.

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