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È morto Bruno Pesaola – 29 mag

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Se ne è andato oggi Bruno Pesaola. Aveva 89 anni, e difficilmente giornali e telegiornali si sprecheranno nel raccontare la vita e le imprese di quest’uomo di altri tempi, il cui nome a coloro i quali fruiscono del calcio distrattamente e seguendo solo l’ultima notizia potrà dire poco. Si potrà pensare che Bruno Pesaola, “il Petisso”, sia stato uno come tanti: beh, niente di più sbagliato. Il secondo e ultimo Scudetto nella storia della Fiorentina porta la sua indimenticabile firma, e così anche l’ultimo trofeo vinto dal Bologna, la Coppa Italia del 1974: imprese uniche per un personaggio unico, che per farsi bello davanti alle telecamere si sbracciava indicando ai suoi di avanzare mentre a denti stretti gli gridava di stare dietro, ben indietro.

Era nato a Buenos Aires, figlio di immigrati marchigiani, e da giovane si era fatto le ossa nel River Plate giocando insieme a un certo Alfredo Di Stefano, per molti il più grande calciatore di sempre: livelli diversi, certo, e lo testimonia il fatto che mentre la “Saeta Rubia” aveva raggiunto la prima squadra (e da lì poi la Colombia, il Real Madrid e la gloria mondiale) Pesaola si era fatto le ossa nel modesto Dock Sud, oggi scalcinata compagine di quarta divisione e allora comunque non uno squadrone. Basso, brevilineo (da cui il soprannome “Petisso”, in spagnolo appunto “piccoletto”) era tornato nella terra dei genitori presto, poco più che ventenne, a guerra finita: era il 1947, lo aveva voluto nientemeno che la Roma, e si era ben comportato in campo e fuori (diventando amico di tante star del cinema) fino a quando un tremendo infortunio per un fallo cattivo e volontario di Gimona – che intendeva vendicare un presunto torto a un compagno durante un Roma-Palermo – non aveva fatto credere che fosse tutto finito ad appena 25 anni. Invece la stima di Silvio Piola (altro grandissimo del calcio) lo aveva portato a Novara, dove si era rigenerato e da dove poi era arrivato al Napoli, il suo più grande amore: 8 stagioni, quasi 250 presenze, poche reti anche per un ruolo cambiato, evoluto, diventato più da suggeritore. 

Da allenatore, come detto, ero uomo da imprese uniche: il suo primo successo fu la Coppa Italia vinta con il Napoli, con i partenopei che addirittura militavano in Serie B e che lui prese sulle soglie della zona retrocessione portandoli, oltre ad alzare il trofeo (primo della storia) in Serie A e poi a concludere un campionato al secondo posto, risultato poi mai più raggiunto fino all’arrivo di Maradona. Poi arrivò lo Scudetto con la Fiorentina: una stagione magica, con una squadra giovanissima (la “Fiorentina Ye-Ye”) e splendida, capace di perdere solo una gara, il Derby dell’Appennino con il Bologna. Ed è proprio in Emilia che viene a predicare il verbo dopo aver chiuso con i viola: la squadra è quella che è, lui comunque la porta a vincere una Coppa Italia che ad oggi è l’ultimo trofeo alzato da queste parti. Si distingue per le tante sigarette fumate, per la schiettezza e per una frase che passa alla storia: succede che il Bologna si presenta a una partita con l’Atalanta con lui che fa grandi proclami sul fatto che i suoi attaccheranno dal primo minuto, mentre poi sul campo i felsinei badano al sodo difendendosi e basta. Ai giornalisti che chiedono lumi a fine partita lui dice: “Si vede che l’Atalanta ci ha rubato l’idea!” Sotto le Due Torri vive, in due diverse esperienze, un totale di sette stagioni.

Grande “Petisso”, indimenticabile eroe della provincia calcistica, di Napoli, di Firenze, di Bologna. Cittadino del mondo che però a fine carriera aveva deciso di tornare nella “sua” città, godendosi Maradona e Careca e poi Hamsik e Cavani. Buon calciatore, fantastico allenatore, sportivo, personaggio unico e generoso: oggi ci ha salutati un grande del nostro calcio, un signore che a modo suo ha saputo scrivere la storia di questo sport che forse spesso dimostra di non avere abbastanza memoria ma che nel caso di Pesaola non può davvero dimenticare.

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