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ESCLUSIVA: Diego Costa si “adegua”….

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INADIEGUATO.

In quanto inadeguato, scrivo e non mi adeguo. Sgomberiamo il campo da facili equivoci. Il Diego Costa che gioca nel Brasile non sono io. Lui gioca peggio. Se al Vate una Leggenda mise la mano sulla spalla e disse: “Ehi Civ…” allora ci può stare pure questa.

C’è la pausa e ne approfitto. Anche se avrei voluto farne a meno. Pietro Mennea da Barletta, la freccia del sud, il paladino del Mezzogiorno che correva pro e contro l’Italia economicamente ingiusta e sbilanciata, se n’è andato. Veloce come quando scattava dai blocchi. Imprevedibile come quando apriva bocca e non sapevi cosa avrebbe detto.
Io l’ho conosciuto di persona che aveva tolto il saio francescano dell’atleta meticolosissimo e aveva abbandonato il suo donchisciottesco ruolo fuori dalla pista. Aveva accettato di fare da testimonial a un Italia-Germania giocato al Dall’Ara con gli stessi protagonisti leggendari della finale ’82 in Spagna. C’erano lui e Nadia Comaneci, oltre a Breitner, Rummenigge, Paolino Rossi e Altobelli eccetera eccetera.
Passava per scontroso, invece era uno strenuo difensore della legalità. Ora, che se ne sia andato così presto, non c’è mai una ragione perchè si lasci questo mondo a soli 61 anni, non deve far pensare a strani e illegali “effetti collaterali”. Sarebbe un’ingiustizia. Voglio pensare che abbia tenuto nascosto il suo segreto per non dover aggiungere dolore al dolore, chè il mondo dello sport è ingrato anche con i suoi massimi eroi. Basti pensare a quando fu insultato e contestato portabandiera alla sua quinta Olimpiade. Vecchio, ti diranno vecchio…
Trattato come uno qualunque l’uomo jet che per 17 anni di fila, primato dei primati, è rimasto recordman dei 200. E che, come mi faceva notare Bingio Garau, fior di mezzofondista, con il suo tempone è ancora nella hit parade della specialità.
Mennea era l’esempio vivente che senza “additivi”, solo con la tenacia e una forza di volontà immani si può salire al top. Lo armava evidentemente la rabbia oltre l’immensa passione. la rabbia di vedere la sua Barletta, la sua Puglia, il suo Sud sempre arrancante rispetto ai padroni del nord. Il suo essere assolutamente pulito aveva anche questo significato: lui figlio di una terra etichettata come “mafiosa” e al contrario puro e vincente contro i signori internazionali del dolo. Così la intendo. Così intendo il suo “sentirsi nero dentro”, il suo inchinarsi di fronte all’emblematica immagine delle Pantere nere della velocità sul podio di Mexico city 1968. Gli rendo onore, come a uno dei più grandi che l’Italia abbia mai avuto nella storia del suo sport. Ciao Pietro. Grazie per quel tuffo al cuore che sentivamo quando cambiavi marcia dopo la curva e li lasciavi tutti lì, mentre con la tua maschera di amore e sofferenza volavi. Grazie di tutto, Pietro.

 

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