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Destinazione Bologna – 2019, il ritorno romantico di Siniša Mihajlović

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1000cuorirossoblu/Federico Calabrese


Quanto è realmente lungo un arco di tempo?

Un decennio, ad esempio, quanto può durare realmente? La storia di oggi sfata un tabù che forse è già sfatato. Chissà. Undici anni. Un arco di tempo relativamente lungo. O forse nemmeno troppo. Soprattutto se, il protagonista, è come se fosse sempre stato con te. 

Dal 14 aprile 2009 al 28 gennaio 2019, andata e ritorno.

La storia del Bologna è stata colma di allenatori importanti, ma ce n’è uno in particolare che forse, ora, vale un pò di più. Ma la sua storia con i rossoblu, come già accennato, parte da qualche tempo fa.

Bologna, 3 novembre 2008. Francesca Menarini, al terzo mese di presidenza rossoblu, deve affrontare già parecchie grane. La squadra non gira e il mister, Daniele Arrigoni, non convince. Dopo nove giornate di campionato sono soltanto sei, i punti racimolati dai felsinei. Vittorie importanti, sia chiaro. Un 2-1 a San Siro contro il Milan, firmato Di Vaio e Valiani, e un 3-1 in casa contro la Lazio, siglato ancora da Di Vaio, questa volta con una doppietta, e da Volpi. Dopo, però, il buio. La goccia che fa traboccare il vaso arriva il 2 novembre. Cagliari-Bologna, 5-1. Capolinea per Arrigoni.

La Menarini, tra i tanti candidati alla panchina rossoblu, decide di affidarsi a un allenatore alla prime armi, reduce solo da un’esperienza come secondo: Siniša Mihajlović. Il sergente, dopo una breve gavetta all’Inter insieme a Mancini, decide di iniziare la carriera da allenatore. I risultati, però, non lo premiano. Dopo il convincente pareggio all’esordio contro la Roma, la strada è altalenante. La prima esperienza di Siniša al Bologna termina il 14 aprile del 2009, due giorni dopo la pesante sconfitta interna contro il Siena. Il 14 di quel mese viene esonerato.

Ma la storia non finisce qui. La storia si ripete, a volte.

Undici anni più tardi, il Bologna e Siniša Mihajlović hanno alle spalle diverse esperienze. Il tecnico serbo, dopo la prima esperienza in Emilia, è cresciuto sulle panchine di Catania, Fiorentina, Nazionale serba, Milan e Torino. La squadra rossoblu, invece, ha passato periodi felici e altri meno entusiasmanti. 

La storia riprende dalla stagione 2018/2019. Il Bologna, dopo il 15esimo posto dell’anno precedente, cerca una svolta. In panchina arriva Filippo Inzaghi, alla sua seconda esperienza in Serie A dopo quella sulla panchina del Milan. La stagione pare iniziare bene. Un convincente 2-0, al Padova in Coppa Italia, dà speranza. Poi, però, iniziano i problemi. Considerando anche la precedente stagione, nove gare senza vittorie. Il girone di andata si chiude male, terzultimo posto con soli 13 punti racimolati. Soltanto in Coppa Italia arrivano soddisfazioni. Un’altra vittoria, questa volta per 3-0, sul Crotone, qualifica i rossoblu agli ottavi di finale. Ma in campionato la storia non cambia. 

Il punto di non ritorno arriva il 27 gennaio 2019. Bologna, i padroni di casa affrontano il Frosinone. Un incubo. Ghiglione, Pinamonti e una doppietta di Ciano fanno sprofondare i rossoblu nel baratro. La fine. I tifosi lo capiscono, partono veementi proteste nei confronti della società.

Joey Saputo e Riccardo Bigon hanno capito, serve un cambio di rotta. E, quando la nave non viaggia, bisogna cambiare il comandante. Inizia una nottata di profonda riflessione. Non si può sbagliare scelta. Costerebbe troppo. L’incubo retrocessione incombe sempre più violentemente nelle menti dei bolognesi. Per risollevare le sorti di una squadra in frantumi c’è bisogno di uno che ti faccia capire determinate cose. C’è bisogno di uno che ti svegli. Di un sergente, magari. 

Un sergente di questo tipo, dalle parti di Bologna, c’è già stato. Undici anni prima. MihajlovićL’allenatore serbo, dopo l’esperienza al Torino terminata quasi un anno prima, vive un periodo di profondo nervosismo. Inizia tutto il 18 giugno viene nominato tecnico dello Sporting Lisbona. Ma il prato del José Alvalade non lo calcherà mai. Dissidi all’interno della società portoghese portano al mutamento dell’organigramma. Il nuovo presidente, non condividendo la linea del suo predecessore, esonera Mihajlović.

E qui si ritorna al gennaio del 2019. Saputo e Bigon, dopo riflessioni e ancora riflessioni, hanno deciso: Siniša Mihajlović sarà nuovamente l’allenatore del Bologna. Ormai è deciso. E per i tifosi è un sollievo. Il sergente dà carica, torna in un ambiente che lo ha sempre amato. Torna dal suo popolo. Torna a casa. Per ripagare un debito di un decennio prima. O forse, semplicemente, perché la mancanza di casa era diventata troppo forte.

Questa volta è maturo. Il carattere è sempre lo stesso, e meno male. Ma adesso, dopo esperienze su esperienze, anche il ruolo di allenatore fa più per lui. La tifoseria è entusiasta. Il secondo esordio di Mihajlović sulla panchina del Bologna arriva il 3 febbraio. Milano, Inter-Bologna. 0-1, firmato Federico Santander. Una vittoria di prepotenza. Di rabbia. Ora sì che si può ricominciare. Dopo tre gare di assestamento, poi, si ricomincia a danzare. Sette vittorie casalinghe consecutive. A marzo nessuno riesce a fare meglio.

La festa arriva all’Olimpico di Roma il 20 maggio. Un pirotecnico 3-3 regala la salvezza aritmetica ai rossoblu. Missione compiuta. Obiettivo raggiunto. Ora si può esultare. E, giustamente, esulta anche. Siniša. Un allenatore. Un uomo. 

La storia d’amore tra Mihajlović e il Bologna continua tutt’ora. Si è capito che, nonostante i problemi che si incontreranno sempre nella vita, esiste un antidoto fondamentale per attenuare il dolore: l’amore. Quello che il popolo bolognese prova per il serbo, quello che il serbo che prova per il popolo bolognese. 

Basta vivere una volta il coro del Dall’Ara per il proprio comandante. Non è amore, è qualcosa di più. E forse a parole non si può nemmeno spiegare. Bisogna viverlo. Almeno una volta. Come il Bologna vive Siniša Mihajlović. Come Siniša Mihajlović vive il Bologna.

 

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