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Christmas Tale – Canto di… Natali

Canto di… Natali – Una racconto natalizio della rubrica “Christmas Tale”

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Christmas Tale - Canto di... Natali
Christmas Tale - Canto di... Natali

In fondo lo sapevo che sarebbe finita così, che sarei morto al novantesimo. Non potevo prevedere quando e in quale partita, ma ne ero certo. Il finale è questo: io che non reggo allo stress dei minuti di recupero, e l’ansia di portare a casa una preziosa vittoria mi fa mostrare il cartellino rosso dall’arbitro della Vita. (Bella questa metafora del cartellino rosso. Potrei usarla in questo racconto, se non fossi morto al novantesimo di Bologna-Crotone.)

Uno strano segnale c’era stato già questa mattina. Quando sono rientrato in casa mentalmente predisposto alla sofferenza, rivivendo in testa l’incubo dei tempi supplementari con lo Spezia in Coppa Italia, e la maniglia di casa non era più la maniglia di casa. Cioè, somigliava a una faccia abbastanza nota: quella di Cesare Natali, difensore del Bologna in due differenti periodi, il secondo dei quali, ahimè, culminato con una dolorosa retrocessione. Ora, che vedere Cesare Natali al posto di una maniglia non sia un segnale di sanità mentale mi pare evidente, ma io ho pensato: vabbè, sono tifoso del Bologna dall’83, la sanità mentale me la sono giocata quindici anni fa tra uno spareggio col Parma e un Bologna-Modena 1-2, non è niente di strano.

E invece, con tutta evidenza, era il segnale.

Perché mentre ero lì che giravo in tondo ascoltando la radiocronaca, mentre dalla finestra della mia casa al quartiere Lame vedevo i riflettori dello stadio, quello stadio così vicino eppure impenetrabile, mentre il Bologna difendeva il prezioso gol di Soriano, sbagliava più volte il gol della sicurezza, l’arbitro decretava sei atroci minuti di recupero, il mondo diventava buio.

Morivo, sprofondando nel buio.

E dalle tenebre sbucava Giancarlo Cadè.

Questo è successo, boh, trenta secondi fa, o ore fa? Il tempo è un po’ diverso, nel tunnel che separa il campo dagli spogliatoi.

(Sarebbe una metafora. Il campo è la vita, gli spogliatoi la morte. Non si è capito? Va bene, la finisco subito.)

Giancarlo Cadè mi guarda con la sua faccia squadrata e seriosa da allenatore anni ’80. E col suo accento bergamasco mi dice “Io sono il Fantasma del Natale Passato.”

“Mister!” esclamo. “Ma lei… lei è stato il mio primo allenatore! Oh, che ricordi lontani! Andavo alle medie, alle scuole Zappa, non seguivo il calcio, avevo solo visto i mondiali di Spagna in vacanza a Igea Marina, e del Bologna sapevo solo che andava male, andava malissimo, quando mio nonno ne parlava col barbiere, col giornalaio, col barista, scuoteva la testa e diceva Andiamo male, andiamo malissimo… ma era stato astuto, il nonno, perché quelle mattine dell’83 mi accompagnava a scuola in macchina e per puro caso lasciava aperto il giornale sulle pagine sportive, e a me cadeva l’occhio, scorgevo quelle vittorie roboanti del Bologna, Fanfulla-Bologna 2-3, Bologna-Prato 4-1, e pensavo: ma non è mica vero allora che va male, vince sempre, e poi guarda che belle maglie, e che faccia da attore western che ha Sauro Frutti quando tira in porta, che baffoni pirateschi che ha Totò Logozzo, e niente, grazie all’astuto nonno, che quando perdevamo in casa con la Rondinella o col Rimini il giornale per puro caso diceva di aver dimenticato di comprarlo, sono diventato tifoso. Quell’anno in cui, con lei in panchina, siamo stati promossi in serie B all’ultima giornata, battendo il Trento.”

Cadè mi fissa inespressivo. “Hai finito?”

“Sì. Mi scusi. L’emozione. Non ero mai, come dire, morto.”

“Vieni.”

Di colpo non siamo più nel buio: stiamo galleggiando nell’aria di una stanza, e c’è un ragazzino alto, magro, con dei bruttissimi capelli e dei baffetti da tredicenne che sta saltellando a pugni chiusi, felicissimo, accanto a una radio.

“Lo riconosci?” chiede Cadè.

“Guardi, non le farò perdere tempo fingendo di essere stupito, e di non capire cosa sto vedendo: sono io a tredici anni, nella mia camera alla Bolognina.”

“Sì. È il 23 dicembre 1984, stai ascoltando Bologna-Taranto, ha appena segnato Marronaro, tra poco farà gol anche Ferri. Sarà un campionato orribile, quello dei soli due gol in trasferta, della salvezza a Varese. Ma per te è tutto nuovo, sei tifoso da poco più di un anno, e quindi ti godi ogni vittoria, ogni gol, ogni pareggio. Grazie a questo 2-0, questo Bologna-Taranto che neanche ti ricordavi, passerai un bellissimo Natale.”

“Oh, grazie, Eminenza.”

“Eminenza?”

“Scusi. Mister.”

Un altro salto: stessa stanza, stessa radio, ci sono sempre io, quindicenne, che esulto.

Cadè dice: “21 dicembre ’86, vittoria a San Benedetto del Tronto, gol di Musella e Stringara.”

“Ricordo, Mister, ma le faccio notare che abbiamo saltato un anno, quello di Mazzone, il primo con Corioni…”

“Ma mica li vedremo tutti e trentacinque! Non ho tempo, ho dei tifosi delle altre squadre che ho allenato da portare in giro, del Campobasso, della Virescit…”

“Sì, capisco, è giusto.”

Un salto, ed eccomi con un’altra prospettiva: in curva, la curva Andrea Costa, ancora bassa, prima dei lavori per Italia 90. Sto esultando, sciarpato e incappottato, e anticipo Cadè: “Questo è il gol di Marronaro contro il Padova, l’anno della promozione con Maifredi!”

C’è un salto gigantesco, di sei anni, ed eccomi sempre vestito da inverno ma in uno stadio non mio, in una piccola curva, con vista sulle montagne. “Carrarese-Bologna 0-1, gol di De Marchi, il primo anno di Gazzoni!”

Un altro grande salto, sono in un bar davanti a un televisore che alzo i pugni guardando una maglia gialla che esulta sullo schermo. “Cagliari-Bologna 0-1, Signori su punizione!”

“Bologna-Verona 1-0, un gran sinistro di Locatelli!”

“Lazio-Bologna 2-2, colpo di testa di Zaccardo!”

“Lazio-Bologna 1-1 dell’anno dopo, pareggio, non ci si crede, ancora di Zaccardo!”

“Catanzaro-Bologna 0-2, Smit e Loviso!”

“Bologna-Torino 5-2, la tripletta di Di Vaio, il rigore lasciato battere a Bernacci!”

E le visioni delle partite prenatalizie scorrono veloci: il gol di Diamanti in quella strana partita col Genoa, Improta e Laribi che stendono la Pro Vercelli prima che cali la nebbia, Masina, Dzemaili e Krejci che passeggiano a Pescara.

Poi il gol di Verdi e la doppietta di Destro per la vittoria in casa della bestia nera Chievo, e dopo quel gol al novantesimo ero talmente euforico che ho chiesto a una ragazza che da tempo mi piaceva di uscire, così, sui due piedi…

C’è il doppio passo di Orsolini nella vittoria a Lecce per 2 a 3, e io e Cadè torniamo nel buio.

“Hai visto” dice.

“Eh, sì. Secondo me abbiamo saltato una partita con la Reggina ai tempi di Meghni che forse…”

“Hai rivisto tutte le volte, o quasi, che il Bologna ti ha fatto passare un buon Natale. Le volte che hai pensato: bene, ora c’è la pausa, che bello, qualche settimana senza critiche, senza polemiche, senza magoni…”

“Oscar?”

“Sarebbe una battuta?”

“Sì.”

“Ti sembro uno che apprezza le battute? Sono uno di quegli allenatori che andava in panchina in tuta.”

“No. Mi scusi.”

“Hai visto l’enormità del tuo percorso, hai visto quanto il Bologna ti ha accompagnato nel corso di una vita. Ora devo passare la mano.”

C’è un lampo di luce.

E al posto di Cadè c’è Carlo Mazzone.

“Sono il Fantasma del Natale Presente” si annuncia con la sua trasteverina voce.

“Mister! Ma lei, a differenza di Cadè, è, be’, come dire, vivo!”

“Sì, infatti. Per questo rappresento il Natale Presente.”

“Non fa una piega.”

“E anche perché: primo, quanti allenatori hanno occupato per ben tre volte la panchina del Bologna in tre momenti diversi, da quando ci sei tu? Solo io! E se tu dovessi dire qual è stato il punto più basso e quello più alto della tua carriera da tifoso?”

“Facile: Leffe-Bologna e Bologna-Marsiglia, la semifinale Uefa.”

“Esatto. Per Leffe devi parlare con Zaccheroni, io non c’entro, ma col Marisglia c’ero io. Ora, torniamo al presente.”

“Il presente non è granché. Vede, sono morto.”

“Sì, ma aspetta, c’è stato un errore burocratico: oggi non dovevi morire tu, ma un certo Gianluca Marozzi, da Albignasego.”

“Ah, ecco, capisco, è tutta la vita che mi sbagliano il cognome, Marozzi, Moruzzi… ma mi scusi, questo trucco non l’avevo già usato in un altro racconto?”

“A’ fijo mio, ma che ne so, io mica te leggo… comunque ora ti riportiamo in vita con un piccolo risarcimento. Mica niente di che: sei stato morto trenta secondi. Ti possiamo dare settanta euro, un buono all’Eurospin, o i tre punti col Crotone.”

“I tre punti! I tre punti! Dica a quello là di fischiare la fine, per carità!”

“Sei sicuro? All’Eurospin c’è della bella roba, mia moglie dice…”

“La prego, la prego, no, che se il Crotone pareggia poi battiamo il record di gol subiti, e chi li sente i tifosi alla radio, e nei gruppi Facebook, e al bar? E poi dopo abbiamo l’Inter, abbiamo la Roma…mi va benissimo l’1-0.”

“Che decisione! Sei un vero tifoso.”

“Be, sì, questo, come dire, si è capito.”

“Mi dispiace di averti portato in B. Quella volta, sai, col Parma.”

“Non importa, mister. Mica è stata colpa sua. Ora torno ad ascoltare la radio?”

“Eh, aspetta, ormai si è messa in moto tutta la procedura Dickens e mica la possiamo interrompere così… devi andare fino in fondo.”

Scompare, e al suo posto si manifesta uno sconosciuto.

“Sono il Fantasma del Natale Futuro” dice.

“Ah, buongiorno. Scusi, lei chi è? Non la conosco.”

“Non mi conosci ancora. Sono il tuo futuro idolo. Il fuoriclasse del Bologna del futuro. Non sono ancora stato comprato, per quello non sai chi sono. Lo saprai.”

“Guardi, mi fido a priori. Posso darti del tu? Dopotutto sei il mio idolo, ti nominerò spessissimo, tra qualche anno.”

Il Fantasma del Natale Futuro annuisce sorridendo, e mi porta in un posto conosciuto.

Conosciuto sì, ma, per molti aspetti, diverso.

“Ma questa… è la curva? La mia solita curva?”

“Sì, certo. Andrea Costa. Bulgarelli. Come la chiami, tu? Comunque è quella.”

“Oh, ma… è vicinissima al campo, e c’è la copertura… non mi dire che… che…”

“Sì?”

“…questo è lo stadio nuovo? Cioè, il Dall’Ara, ristrutturato? Sono commosso… lo aspettavo da tanto…”

“Ti concedo una piccola occhiata. Come vedi, hanno finito i lavori.”

“E questa che partita è? Con chi stiamo giocando? Le maglie bianche da trasferta confondono.”

“Che ti importa? Conta qualcosa se è il Cagliari o il Genoa o un’altra squadra? Cogli il punto fondamentale?”

“Che stiamo giocando nel nuovo stadio?”

“Anche. Ma, soprattutto, che sei tornato sugli spalti! Siete tornati tutti. Quell’incubo delle partite senza pubblico è lontano. Lontanissimo. Finito.”

“Sono commosso… e quello che ha appena segnato quel magnifico gol nel sette… sei tu? Posso esultare?”

“Naturalmente. Puoi.”

C’è un lampo di luce, e sono di nuovo in casa. L’arbitro della Vita ha guardato la Var e mi ha riportato indietro.

Ma siccome la vita è dura, il radiocronista sta annunciando “l’arbitro ha dato un altro minuto di recupero, altri sessanta secondi, dai forza!”.

“Come altri sessanta secondi?” protesto. Mi agito, mi torco, digrigno i denti.

A trenta secondi dalla fine la palla ce l’ha in mano il nostro portiere, va bene, penso, forse è fatta, basta che la tenga lì un po’, poi che la rinvii lontano, lontanissimo, Skorupski non ha quel bel calcio lungo alla Viviano, porca miseria, lui arrivava dall’altra parte del campo, ma mi basta che arrivi sulla tre quarti offensiva, in modo che il Crotone non riesca a riprendere palla e ripartire prima del fischio fina…

Eccolo. Finita! Dodici punti in classifica, il record dei gol subiti, finalmente, interrotto.

E dopo che ho goduto per quei novanta-centoventi secondi, subito mi rammarico: porca miseria, se fossi rimasto morto per sbaglio un paio di minuti avrei potuto chiedere un risarcimento più grosso. Tipo, vincere la prossima a san Siro.

Non siamo mai contenti. Non finirà mai.

E ci piace così.

Gianluca Morozzi

 

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