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Il Bologna Campione d’Italia dell’85 e Julio Velasco per ricordare Nerio Zanetti

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L’essere umano, per natura, tende a dimenticare ed è un vizio che Bologna ha per quanto riguarda il mondo della pallavolo: nonostante sia arrivato ai massimi livelli con il Mapier, il focus cittadino spesso ricade solo su calcio e basket. Ebbene, il progetto del sindaco Matteo Lepore e dell’assessora allo sport Roberta Li Calzi è riportare in auge questa disciplina sotto le Due Torri ospitando le Finali degli Europei di Pallavolo Maschile il prossimo settembre.

IL RICORDO. Ma non è per questo motivo che ieri pomeriggio Sala Borsa era sold out: “Ricordando Nerio Zanetti… Bologna incontra Julio Velasco” il titolo che Marinella Vaccari deciso per il convegno in ricordo di suo marito, scomparso ormai cinque anni fa. Nerio Zanetti è stato una figura importantissima per la pallavolo bolognese, classe 1940 e professore di ginnastica, ha portato la “sua” Mapier a vincere la Coppa Italia nel ’85 e l’anno dopo a salire sul tetto d’Italia.

I RINGRAZIAMENTI. L’incontro, cominciato coi ringraziamenti al pubblico della stessa vedova Zanetti, è stato mediato dalla giornalista Laura Tommasini che ha subito presentato il secondo allenatore di quella famosa Bologna: Maurizio Menarini; questi, oggi selezionatore della FIPAV Emilia-Romagna, è stato il braccio destro di Nerio per molti anni anche durante quella finale contro il Panini Modena proiettata sul teleschermo nei primi minuti della conferenza.

LA SQUADRA. Tra lo stupore e la sorpresa generali, è poi salita sul palco la squadra vincitrice del 40° Campionato di A1 Maschile, proprio quella Mapier che Nerio aveva allenato e tanto ci teneva a essere presente; unici assenti della rosa: Angelo Squeo (padre del Beach Volley italiano), Antonio Babini e gli stranieri.

JULIO VELASCO. Ma il vero protagonista è stato lui, uno dei più forti allenatori della storia, colui che ha portato la “generazione dei fenomeni” a essere la leggenda che oggi gli amanti del volley conoscono: Julio Velasco. Argentino e studioso di filosofia all’università, Velasco ha vissuto gli anni della dittatura argentina di Videla. Avvicinatosi al mondo della pallavolo già nel suo Paese natio, è sbarcato al Panini Modena l’anno dopo la sconfitta di quest’ultima contro il Bologna.

L’IMPORTANZA DEL PROCESSO. Nel ricordo di Nerio, ha sottolineato l’importanza di non pensare mai che il successo di qualcuno sia dovuta a “fortuna” o “genio”, ma dei processi che costui riesce a costruire: è così ha fatto Zanetti quando, in barba alla popolarità di cui la pallavolo godeva a Modena e Parma, è andato a reclutare i suoi giocatori nelle scuole senza pensare che sarebbe arrivato a giocare le finali nazionali di A1, figuriamoci vincerle! Con una nota di biasimo, Velasco ha sottolineato che pensare sempre solo a prevalere è un atteggiamento sbagliato a causa del quale si smarrisce il punto di arrivo. Secondo lui, il problema è che si pensa troppo in prospettiva senza focalizzarsi su cosa si sta costruendo nel presente: tenere il piede in due scarpe non è mai stata una tattica vincente.

I GIOVANI. Da vero avvocato del diavolo, poi, ha rivendicato il ruolo dei giovani, troppo spesso bistrattati o considerati dei “nullafacenti”: come scrisse Antoine de Saint-Exupéry «Tutti i grandi sono stati bambini una volta, ma pochi di essi se ne ricordano» ed è la stessa tesi che ha sostenuto il professore argentino contro coloro che affermano che i ragazzi non hanno voglia di impegnarsi; a 15 anni, però, è anche vero che c’è bisogno del cosiddetto otium e, avere 7 allenamenti a settimana più la scuola, non permette ai giovani di vivere serenamente lo sport.

MODELLI PEDAGOGICI. Come coach, Velasco ha rivendicato il ruolo pedagogico dello sport soprattutto nell’insegnare ai ragazzi a “cavarsela da soli”: un allenatore si può ritenere soddisfatto quando il giocatore non ha più bisogno di lui e sa come muoversi. Ed è questo che spiegava Nerio ai suoi ed è ciò che ha reso grande la sua squadra: risolvere le situazioni difficili. Lo sport deve educare a saper gestire lo stress competitivo come anche quello che deriva dalla frustrazione di non aver giocato bene o essere rimasti in panchina; nella società contemporanea, si tende a “schivare” il dolore, mentre essere in grado di affrontarlo a viso aperto essendo preparati a esso è un insegnamento fondamentale della cultura sportiva.

LE SFUMATURE. Con un’immagine hegeliana di tesi e antitesi, l’allenatore argentino sottolineato il compito difficile dei tecnici che devono continuamente destreggiarsi tra opposti contraddittori (come decidere se far entrare qualcuno in campo pur sapendo che non è il più forte o lasciarlo in panchina nonostante l’impegno dimostrato in allenamento) avendo la consapevolezza che non esistono bianco o nero in un ragazzo, ma una grande scala di sfumature.

Attraverso grande ironia e acume, Velasco ha trasmesso a tutte le persone in sala una grande lezione di vita perché “è troppo facile dire non ce la faccio, quel giovane non mi ascolta” ma dà più soddisfazione credere nella causa e veder spiccare il volo a coloro che abbiamo sempre tenuto sotto la nostra ala.

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