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Monday Night – L’ultimo gol di Justin Fashanu

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La BBC, popolare tv inglese che trasmette “Match of the day”, storica trasmissione sportiva sul campionato inglese oggi condotta da Gary Lineker, nella stagione 1970-71 istituisce il “Goal of the year”, premio facilmente intuibile. Al termine di ogni stagione sarebbe stato decretato il miglior gol del torneo. Che era lontanissimo da ciò che è oggi la Premier League: stadi pregni di romanticismo ma vetusti e pericolosi, campi infangati e pochi tappeti verdi tirati a lucido come oggi. E personaggi mitici in campo ma soprattutto in panchina: Shankly, Busby, Nicholson, Clough, e via dicendo. Era la vecchia “First Division”. 

Nell’albo d’oro di quel premio ci sono nomi illustri: Peter Osgood, simbolo del vecchio Chelsea, Kenny Dalglish, Yeboah, nostalgica punta del Leeds, Gascoigne, Ian Wright, sino ad arrivare a Jamie Vardy e Vincent Kompany, ultimo vincitore nel 2019 per quel siluro che ha consegnato virtualmente al City il titolo inglese nel match contro il Leicester. Ma scorrendo il dito sull’albo d’oro, per introdurre la nostra storia dobbiamo fermarci alla stagione 1979-80. Quella del Nottingham Forest che vince la Coppa dei Campioni, seconda consecutiva, quella che porta all’Europeo in Italia, quella che consegna al Liverpool il dodicesimo titolo inglese della sua storia: il gol dell’anno, in quella stagione, è di Justin Fashanu.

Il Liverpool, appunto. E’ il 9 febbraio del 1980 quando a Carrow Road, stadio del Norwich, i “canarini” affrontano i reds in un match pirotecnico. Quello di Justin è il gol del 3-3: ricevuta palla si gira e calcia di sinistro di prima intenzione facendo partire una palombella che rende vano il tuffo per intero di Ray Clemence. Mancano nove minuti al termine, e la beffa sarà servita da Dalglish e Jimmy Case che nel giro di un minuto chiudono sul 5-3 per gli ospiti.

Justin ha un fratello, John. Chi seguiva “Mai dire gol” e la Gialappa’s Band se lo ricorderà: era l’idolo di Teo Teocoli, alias Peo Pericoli, che un giorno mette in piedi una gag andandolo a trovare a Londra nel centro sportivo del Wimbledon, con il quale vince la FA Cup nel 1988 guarda caso ai danni del Liverpool. La famiglia Fashanu, incubo dei reds. Ma nella storia di Justin tutto sarà un incubo, e non ci sarà nessuna gag. Solo un sipario che si chiuderà presto, anche per colpa di quella famiglia. Sono entrambi cresciuti prima in un orfanotrofio e poi a casa di una famiglia nel Norfolk, una volta che i loro genitori divorziarono.

Gli anni di Justin Fashanu al Norwich gli valgono l’approdo al Nottingham Forest, campione d’Europa, come detto, nel 1981: è il primo calciatore di colore ad essere pagato una cifra a sei zeri. Fashanu ha 20 anni, e pare destinato a una luminosa carriera. Ma nell’Inghilterra tumultuosa di quel periodo, colma di razzismo e omofobia, la sua omosessualità non verrebbe tollerata. Al Forest, entra in contrasto proprio con Clough che, stando alla sua biografia, lo apostrofa come “fottuto finocchio”. Frequenta locali gay,si allena da solo, viene osteggiato dai tifosi avversari che gli tirano banane in campo. E’ stretto d’assedio, con la naturale conseguenza che il nostro ha paura a uscire allo scoperto dichiarandosi per ciò che è. Lascia il Forest dopo soli 3 gol in 32 partite, va al Notts County dove riprende a segnare, resta fuori a lungo per un brutto infortunio e poi va all’Aston Villa. Ma la sua carriera sta sempre più volgendo al peggio, lontano dai riflettori che contano. 

Nel 1990 decide di fare outing e come previsto si ritrova ancor più solo. Il fratello lo rinnega, persino la comunità nera si dice infastidita dall’essere messa addirittura in imbarazzo dal comportamento del giocatore. Il “Sun”, tabloid scandalistico inglese che non aspetta altro, cavalca l’onda. Justin è sempre più solo e disperato e per trovare pace va a giocare negli Usa, in Maryland, e pare, con nuovi amici, in un nuovo paese e lontano dall’Inghilterra che lo aveva osteggiato, ritrovare equilibrio. Sarà soltanto un’illusione.

Il 25 marzo 1998 un ragazzo di 17 anni, Ashton Woods, si reca dalla polizia per fare denuncia di un abuso sessuale. Dice di essere stato narcotizzato e di essersi risvegliato nel letto di Fashanu mentre questi gli praticava sesso orale: all’epoca, e proprio fino a quel 1998, è un atto passibile di condanna, anche se non si verifica lo stupro. Justin si dice disposto a collaborare, e viene interrogato. Quando gli inquirenti si recano a casa sua per il test del DNA, che vuole collaborare ai fini della verità, per arrestarlo, trovano invece la casa vuota. Justin Fashanu verrà ritrovato impiccato a un garage semi abbandonato il 2 maggio, con un biglietto che ne dimostra tutta la terribile disperazione interiore: “Non voglio essere più un peso per la famiglia e gli amici. Spero che il Cristo in cui credo, mi accolga a braccia aperte”. Il calcio britannico ha fatto grandi passi dal punto di vista del razzismo e dell’omofobia: oggi, chi utilizza gli epiteti “negro” e “frocio”, rischia anche 19 giornate di squalifica. La vita irrimediabilmente rovinata o una indiretta ammissione di colpa: quale fu il motivo del gesto di Fashanu? La sua versione, in un altro biglietto, conferma il rapporto sessuale ma anche il ricatto che Woods avrebbe voluto sottoporgli chiedendo del denaro, ricatto al quale Fashanu non si piegò. Appurati i sensi di colpa del fratello che si renderà conto di averlo lasciato solo, come tutto il mondo del pallone, ci resta di certo ci resta la storia di un ragazzo che aveva il calcio come sogno e che in fondo era capitato nell’epoca più sbagliata possibile. E rimane anche quel sinistro al volo contro il Liverpool, il 9 febbraio del 1980: il “gol of the year”. L’ultimo gol, in fondo, di Justin Fashanu. 

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