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GRANDI SQUADRE: La storia del Grande Torino (seconda parte) – 26 apr

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La Serie A 1942/1943 si apriva dunque con un Torino più determinato che mai a inserirsi nel novero delle squadre in lotta per lo Scudetto, vinto solo una volta ormai 15 anni prima. La stagione precedente i granata erano crollati di fatto proprio contro il Venezia di Loik e Mazzola, che li aveva estromessi anche dalla Coppa Italia: fu per questo che Novo non ci pensò due volte nell’acquistare entrambi per 1.200.000 lire più Petron e Mezzadra, bruciando una Juventus che troppo aveva temporeggiato di fronte a una cifra così importante e che in seguito si sarebbe mangiata le mani. Già, perché fu subito chiaro a tutti che con quella nuova coppia d’interni il Torino volava: anche se Loik era più portato a contenere e Mazzola ad attaccare, entrambi erano completissimi in ogni fase di gioco e si completavano splendidamente, un affiatamento naturale per un duo che avrebbe giocato insieme, fianco a fianco, per nove stagioni consecutive. Dietro di loro Fioravante Baldi e Giuseppe Grezar erano uno scudo ottimale alla difesa formata da Bodoira in porta e il trio Piacentini-Ellena-Ferrini, mentre in attacco le folate offensive di Romeo Menti e Pietro Ferraris rifornivano Gabetto di numerose palle-gol. Una squadra eccezionale, offensiva, tecnica e potente che emerse però lentamente: dopo aver rimediato due sconfitte nelle prime due gare, il Torino prese a marciare spedito dietro al Livorno, che sorprendentemente guidava la classifica dopo essersi salvato per il rotto della cuffia l’anno precedente. I granata infine agganciarono i toscani intorno a Natale, senza però riuscire a scrollarseli di dosso anche per via di un rendimento buono ma mai così deciso: il tecnico Kuttik non riusciva ad inquadrare al meglio la squadra, e fu così che Novo intervenne chiamando al suo posto, a 6 giornate dal termine, quell’Antonio Janni che era stata una bandiera granata e che aveva scoperto il giovane Ossola al Varese. Vincendo le ultime sei partite, il Torino si laureò quindi Campione d’Italia nell’entusiasmo generale, prendendosi anche la Coppa Italia e realizzando la prima “doppietta” nella storia del calcio italiano. Tanto era l’entusiasmo, ma nel Paese serpeggiava sempre più la guerra, che avrebbe interrotto il calcio costringendo la Serie A a prendersi una lunga pausa.

Durante il conflitto bellico si giocò quello che fu chiamato “il campionato di guerra del 1944”. Il fascismo era caduto, gli alleati avanzavano e il nostro Paese era terra di conflitti tra chi era rimasto fedele al Duce e chi invece lottava per liberarlo. Il torneo di calcio che si svolse in questo periodo fu un torneo strano e con ovvie tribolazioni, e vide il Torino sponsorizzato incredibilmente dalla FIAT vicina alla Juventus: fu questo un escamotage per trattenere in città i campioni, che addirittura vennero rinforzati con l’acquisto temporaneo di quello che è da molti considerato il più grande bomber della storia del calcio italiano, Silvio Piola, che andò a innestarsi sulla squadra che aveva vinto il torneo del ’42/’43. La squadra era ovviamente fortissima, e non vinse il torneo solo per troppa presunzione o sportività: essendosi recata praticamente in blocco a rappresentare la Nazionale in una gara non ufficiale a Trieste due giorni prima del triangolare finale che assegnava il titolo, la compagine granata arrivò all’appuntamento decisivo minata anche da un viaggio che non si era rivelato per nulla agevole e che aveva richiesto molto più tempo del previsto. Nonostante l’offerta della federazione di rinviare la partita, il Torino cavallerescamente rifiutò e scese in campo contro i sorprendenti “Vigili del Fuoco di La Spezia”, rimediando però una cocente – e comunque sorprendente – sconfitta per 2 a 1 che in pratica assegnò il titolo ai liguri. Pur trattandosi di un torneo atipico e difficile, comunque, il valore dei granata era emerso lo stesso fermandosi solo ad un passo dalla gloria.

Un errore che non venne ripetuto nel successivo campionato, anche questo giocato con una formula atipica in un Paese comunque da ricostruire: per la prima volta dal 1929 la Serie A non fu giocata in un girone unico ma in due raggruppamenti regionali ben distinti. Il Torino – la cui panchina ora era stata affidata a Luigi Ferrero – era inserito in quello più forte, il “Campionato dell’Alta Italia”, che comprendeva tutte le squadre del Nord presenti in Serie A prima dell’interruzione bellica: lo stravinse con 19 vittorie su 26 gare e un’impressionante differenza reti di +47, piazzandosi davanti a Inter, Juventus e Milan, con i granata qualificati al torneo finale valido per assegnare lo Scudetto. Le quattro squadre del Nord si unirono alle prime quattro del Sud, torneo senz’altro meno competitivo e che espresse Napoli, Bari, Roma e Livorno. La differenza di spessore tra Nord e Sud si sarebbe vista anche nel torneo finale, che vide il Torino trionfare davanti a Juventus, Milan e Inter: in 14 partite i granata conquistarono 11 vittorie, rifilando autentiche goleade come quando in trasferta a Roma si trovarono dopo mezz’ora avanti per 6 a 0 e conclusero segnando solo un altro gol, segno evidente di pietà. Altre 7 reti (a 1) furono rifilate al Napoli, mentre il Livorno fu annientato nell’ultima giornata, a Scudetto già acquisito, con un tremendo 9 a 1. Fu in questo periodo che divenne famoso Oreste Bolmida, tifoso del Toro che lavorava alle ferrovie e che aveva preso a suonare una tromba dagli spalti: tre squilli e partiva il celebre “quarto d’ora granata”, in cui il Torino triplicava gli sforzi spinto dal pubblico e annientava qualsiasi avversario. Leggenda vuole che questo avvenisse sia quando la squadra era in difficoltà sia quando invece il pubblico esigeva semplicemente una goleada: capitan Mazzola si arrotolava le maniche, indicava la porta avversaria ai compagni e poi caricava sorretto da tutta la squadra e tutto lo stadio, con l’avversario terrorizzato e incapace di reagire.

Capocannoniere nel girone finale della Serie A 1945/1946 fu Eusebio Castigliano, un mediano ambidestro dal gol facile, capace di segnare 13 reti in 14 gare: un’altra felice intuizione di Novo, che lo aveva prelevato dalla modesta Biellese per la bella cifra di 600.000 lire. Il presidente granata non badava a spese, e dopo Loik e Mazzola aveva preso dal Venezia anche l’ottimo terzino Aldo Ballarin, pagato 1.500.000 lire, più di quanto erano costati i due interni. Dal Savona era arrivato invece Valerio Bacigalupo, giovane e innovativo portiere abile anche nelle uscite e con i piedi che subito si sarebbe imposto come titolare. Se il campionato 1945/1946 era stato atipico, quello successivo vide una Serie A a 20 squadre per le complicate conseguenze di due tornei dal format particolare: il Torino vinse anche lo Scudetto 1946/1947 pur dopo una partenza non del tutto entusiasmante, raggiungendo e infine superando Bologna e Juventus attorno alla fine di febbraio e legittimando il titolo con un finale di stagione mostruoso che portò solo vittorie. Alla fine 28 vittorie su 38 partite, appena 3 sconfitte, un attacco capace di segnare ben 104 reti resero evidente a tutta l’Italia che i granata erano gli indiscussi dominatori del football nostrano e lo sarebbero stati a lungo. Era arrivato il riconoscimento della Nazionale azzurra: il 1° dicembre del 1946 l’Italia schierò 5 giocatori granata su 11 nella sfida vinta per 3 a 2 contro l’Austria, mentre l’impegno successivo con la Svizzera (5-2) vide ben 9 giocatori del Torino in campo.

Il record arrivò l’11 maggio del 1947, quando su 11 giocatori azzurri ben 10 erano quelli del ‘Grande Torino’ in campo, con la sola eccezione del portiere Bacigalupo: avversaria l’Ungheria, che venne sconfitta per 3 a 2 e che stava gettando le basi per diventare “la Squadra d’Oro” dei primi anni ’50. Si poteva a tutti gli effetti dire adesso che non solo il Torino era la squadra più forte d’Italia, ma forse una delle più forti al mondo e senz’altro una compagine che rappresentava e univa tifosi di tutto il Paese ad ogni latitudine: si poteva certamente non tifare per i granata, ma era impossibile non riconoscerne la forza. Il campionato 1946/1947, del resto, aveva espresso numeri innegabili: 28 vittorie su 38 partite, appena 3 sconfitte, 104 reti realizzate (quasi 3 a partita) e la miseria di 35 subite. Il capocannoniere? L’interno, il capitano, il miglior giocatore al mondo per molti: Valentino Mazzola, capace di segnare ben 29 reti pur giostrando nel cuore del gioco, lontano dalla porta. E se il Torino 1946/1947 era stato spaventoso, quello edizione 1947/1948 non lo sarebbe stato di meno: al via 21 squadre per il ripescaggio morale della Triestina simbolo di una città contesa dagli italiani, formula che significava che ogni domenica una squadra avrebbe riposato. Il Torino stravinse anche questo torneo, allungando nel finale di campionato con quattordici vittorie e due pareggi nelle ultime sedici partite, uno “strappo” mostruoso che lasciò la Juventus seconda indietro di dieci punti e che permise alla squadra di partire già Campione d’Italia (era il quarto Scudetto dell’era-Novo) per una tournée in Brasile. Negli occhi di chi era rimasto in Italia l’innegabile forza e bellezza di una compagine che giocava a testa alta contro chiunque e capace di stroncare qualsiasi resistenza: nella Serie A 1947/1948 il Toro conquistò 29 vittorie, segnò 125 reti tra cui un memorabile 10 a 0 rifilato all’Alessandria. La formazione era ormai definita: Bacigalupo; Ballarin, Rigamonti, Maroso o il volenteroso Sauro Tomà; Grezar, Castigliano, Loik, Mazzola; Menti, Gabetto e Ossola, che stava prendendo il posto dell’ormai anziano Ferraris. La squadra aveva raggiunto un’enorme maturità e una perfetta coesione: chi mai avrebbe potuto fermare quello che ormai per tutti era il ‘Grande Torino’? La risposta, purtroppo, sarebbe arrivata nemmeno un anno dopo.

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