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Focus On – Il peso delle parole

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credits: Ourense


Emily Dickinson, considerata una delle poetesse più influenti di sempre, una volta disse che “non conosceva nulla al mondo che avesse tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo, fino a quando non comincia a splendere”. Nel mondo di oggi è sempre più complicato comunicare o, almeno, provare a comunicare quanto di più vicino a ciò che pensiamo davvero, e ancora più complicato è ponderare il linguaggio. Tutto questo, nel mondo dello sport e del calcio, viene amplificato: sono milioni le persone che prendono come propri modelli calciatori o sportivi in generale, come esempio personale o di vita, oppure – in maniera più superficiale – come supereroe di tutti i giorni. Per questo motivo è determinante fare un uso corretto delle parole, per far sì che determinate persone possano capire la realtà dei fatti, senza trasfigurare o mascherare la realtà.

Un caso attuale arriva da Germania-Italia di Nations League dove, al fischio finale, Gianluigi Donnarumma è stato intervistato dalla giornalista Rai, Tiziana Alla. La Alla, nel post partita, ha paragonato l’errore del portiere sul quinto gol tedesco alla papera decisiva in quel Real Madrid-Psg che costò la Champions League alla squadra francese. Donnarumma, stizzito, ha risposto male, quasi infastidito. La colpa della Alla? Aver fatto una domanda legittima, che per alcuni potrebbe essere scomoda che assolutamente pertinente, soprattutto se indirizzata ad un portiere che – nell’ultimo periodo – ha avuto addosso l’etichetta di predestinato. Una domanda, dunque, ha fatto scattare qualcosa in Donnarumma, come se quella frase avesse toccato le corde sbagliate. “Quale errore? Con un fallo”. Alza lo sguardo spazientito, poi una smorfia verso l’inviata. Il portiere, pur capendo il suo stato d’animo, risponde dunque con una contro domanda polemica, con parole e toni sbagliati, come se quelle parole avessero avuto un peso negativo su di lui, nonostante il comportamento garbato e professionale della giornalista. Dall’altra parte, in un caso inverso, c’è Wilfried Gnonto, sorpresa della Nazionale e autore del gol della bandiera contro la Germania. Piedi per terra, parole sane, senza farsi prendere dall’euforia del momento, senza far intravedere un briciolo di sfacciataggine ma soltanto con l’innocenza e l’ingenuità di un ragazzo che fino a qualche mese non avrebbe mai immaginato di godersi, subito, un momento del genere: “Nel calcio come nella vita a volte bisogna prendere dei rischi”. E ancora: “Mi godo il momento”. Linguaggio semplice, che fa capire come il baby attaccante si sia ritrovato di colpo in una realtà che fino ad ora aveva solo immaginato. 

Il peso delle parole, di come con una frase che sembra innocua si possa ferire una persona, un collettivo, un Paese intero. Hanno fatto scalpore, qualche giorno fa, le dichiarazioni di Arsene Wenger. Un esempio chiave. Nonostante una carriera esemplare, nonostante un impegno civile e sociale che va aldilà del rettangolo di gioco, a volte basta pochissimo e l’opinione pubblica inizia a massacrarti. “Mbappé ha radici africane ma si è formato in Europa. Se fosse nato in Camerun, non sarebbe diventato il giocatore che è oggi. C’è l’Europa e il resto del mondo, e il resto del mondo ha bisogno di aiuto, altrimenti perderemo troppi talenti”. “Infelice”, “ingiusta”: sono solo pochi degli aggettivi che la stampa ha attribuito a tali dichiarazioni. Ecco il caso esemplare di un pensiero distorto da una frase sbagliata, perché ciò che Wenger intendeva era tutt’altro, ma quello che resta sono le parole che – se distorte – cambiano totalmente il senso di un pensiero e modificano la realtà. Wenger non è razzista e mai lo è stato, ma forse fa più comodo perché fa notizia, scalpore, ma ciò che intendeva l’ex allenatore dell’Arsenal era la differenza delle strutture logistiche tra l’Europa e il resto del mondo, senza andare oltre, senza quella punta di razzismo che molti gli hanno attribuito. Ed è qui il nocciolo del problema: la forza della parola resta, ciò che nel corso del tempo è stata modificato è l’interpretazione del linguaggio. Per una frase sbagliata, per un aggettivo al posto sbagliato nel momento sbagliato. Ecco perché la comunicazione resta lo strumento più potente che abbiamo e bisogna tutelarlo. Basta un tocco per distorcere la realtà, e le conseguenze possono essere terribili. 

“Le parole sono il diavolo, noi lì a credere di lasciarci uscire dalla bocca solo quelle che ci convengono e, tutt’a un tratto, ce n’è una che s’intrufola, non abbiamo visto da dove sia spuntata, nessuno l’aveva chiamata, e, a causa di quella parola, che non di rado avremo poi difficoltà a ricordare, la rotta della conversazione cambia bruscamente quadrante, ci mettiamo ad affermare ciò che prima negavamo, o viceversa”, disse una volta José Saramago. Ecco, bisogna far sì che quel diavolo non si prenda mai la scena. Per nessuna ragione al mondo.

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