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Chiacchiere da Bar…bieri – Formula Caos (su richiesta)

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Twitter F1

Il Gran Premio dell’Australia 2023 ha restituito una corsa dove lo spettacolo, perlopiù forzato, ha spadroneggiato, con indignazioni trasversali di spettatori e addetti ai lavori. E’ stato fatto segnare un record di ben tre bandiere rosse, spesso per i più poco comprensibili, tre partenze da fermo che hanno regalato confusione, mettendo a repentaglio quello che era, dalla prima ripartenza in avanti, un risultato sportivo lampante maturato durante una gara perlopiù noiosa. Se Magnussen non si fosse fermato in pista a due giri dalla fine, o se la gara fosse terminata sotto un regime di Safety Car decretato al giro 53 di 58, si sarebbe parlato di Formula Noia e un campionato 2023 già scritto.

Sia chiaro, la responsabilità non sarebbe stata del regolamento sportivo o tecnico di questa F1, ma dell’abilità di una scuderia, la Red Bull Racing, di creare una monoposto che, al momento, non ha rivali. Lo si è visto nei primi giri di domenica, con un Max Verstappen che non ha lottato più di tanto per mantenere la posizione, consapevole del suo strapotere. Al dodicesimo giro, infatti, con poche tornate in realtà percorse sotto regime di bandiera verde, l’olandese aveva già sistemato il tutto, mettendosi in testa e cominciando a distanziare Lewis Hamilton. Il due volte campione del mondo si è anche potuto permettere un errore alla penultima curva, al giro 47, compiendo un’escursione sull’erba. Fino all’inizio del giro 53, infatti, scommetto che in tanti avessero già bevuto almeno tre caffè per stare svegli, bofonchiando assonnati qualcosa del tipo “bah, il campionato è già finito, che cosa guardo a fare questa F1”.

Poi, dal nulla, un Kevin Magnussen fin lì anonimo si è trasformato, per colpa o per un guasto tecnico, in un Nicholas Latifi qualunque, determinando prima l’ingresso della vettura di sicurezza e, più tardi, la sospensione della corsa per recuperare i detriti disseminati lungo la pista. Da lì il caos ha regnato sovrano, con appassionati e addetti ai lavori, esclusa la direzione gara, che non sapevano più che pesci prendere, parlando e scrivendo per ipotesi e senza dati per quaranta minuti, senza che nessuno si informasse su cosa sarebbe potuto succedere. Eppure un regolamento esiste e, questa domenica, è stato seguito tutto sommato alla lettera.

 

Faccio un passo indietro, alla prima bandiera rossa: non mi sembra che, tra i commentatori di lingua italiana, qualcuno abbia visto che un modulo delle barriere TecPro si è staccato all’esterno di curva 7 a causa dell’incidente di Alexander Albon, rendendo necessario un ripristino delle protezioni. Questo danneggiamento è evidente guardando l’on board camera dell’anglo-thailandese, non ci sono altri fotogrammi disponibili che lo evidenzi.

Il momento subito successivo all’impatto tra la Williams di Albon e le TecPro: nel cerchio, una di esse esce dalla sua sede (source YouTube – Formula 1)

Faccio un’excursus. Queste protezioni sono composte da moduli da 150 cm cadauno collegati tra loro da tre fasce, che passano all’interno dei moduli stessi e che sono assicurati, all’inizio e alla fine, ad un palo, in modo tale che possano essere tenute in tensione. Bene, le soluzioni ad un danneggiamento di questo tipo sono due: o una neutralizzazione lunga, quantificabile in non meno di dieci minuti, per pulire la pista dalla ghiaia e per ripristinare l’integrità delle TecPro, oppure una bandiera rossa che congeli il computo dei giri e che dia tutto il tempo necessario agli addetti di pista per svolgere il loro lavoro al meglio, con relativa calma.

Un esempio di barriere TecPro in fase di allestimento. Si possono ben notare le cinghie di collegamento (source twitter Silverstone)

Al giro 55, dopo due tornate con il gruppo dietro la Safety Car, è stata determinata l’esposizione della bandiera rossa. Perché? Per tanti è considerata inutile, forse quei tanti sono gli stessi che volevano una sospensione del GP di Monza nel 2022. In quel caso sarebbe stata giustificabile come questa, apparentemente, è giustificata. E’ bene tenere sempre a mente, quando si commenta, che le decisioni non vengono prese solo guardando le riprese televisive: nelle race direction dei circuiti di F1 ci sono telecamere a circuito chiuso che consentono di vedere cose che dalla TV non si vedono; inoltre sul posto ci sono esseri umani vestiti di arancione, chiamati track marshals o commissari di percorso, che osservano e valutano lo stato della pista e lo riportano, via radio, alla direzione gara in tempo reale. Ecco, definire giusta o sbagliata una scelta senza quelle immagini, esclusive, e senza aver accesso alle conversazioni tra direttore di gara (che non è il direttore di prova Niels Wittich, ma è il direttore selezionato dall’Autorità Sportiva Nazionale sotto la quale egida si tiene la corsa) e i suoi uomini a bordo pista, e il seguente confronto tra il direttore di gara e il direttore di prova, è quantomeno avventato. Non posso raccontarvi un aneddoto vissuto in prima persona ma vi chiedo di fidarvi delle mie undici stagioni dietro le barriere di protezione, con qualche GP sulle spalle.

Poi, il “fattaccio”: la terza partenza da fermo a due giri dalla fine. E qui torno al discorso di prima. Senza questa decisione, tutti avrebbero gridato allo scandalo della Formula Noia. Viviamo in un’epoca, purtroppo, che chi ha il potere decisionale non si mette più, con fatica, ad educare la massa. Queste persone, piuttosto, prendono la strada corta e relativamente sicura di dare alla massa ciò che chiede. La massa vuole, e vi basta leggere o ascoltare i commenti dopo gare lineari senza colpi di scena, corse che abbiano parti movimentate. Sto facendo di tutta l’erba un fascio, è chiaro che ci siano i distinguo, ma è sotto gli occhi di tutti il seguito che sta ottenendo la Formula 1 con questo nuovo corso, fatto soprattutto di spettacolo. Ed è questo il punto: le massime categorie del motorsport, vale a dire Formula 1 e MotoGP, stanno varando un nuovo corso basato sullo sport-entertainment.

Durante un’intervista, qualche mese fa, l’Assessore all’Autodromo di Imola Elena Penazzi mi disse: “In futuro ci saranno due tipi di sport motoristici: la F1 e la MotoGP, con le loro gare e il loro spettacolo che non si fermerà solo all’attività in pista, e tutto il resto”. Così sta accadendo. Questo corso delle cose è assolutamente legittimo, perché la F1 e il motomondiale non sono beni pubblici ma sono proprietà di aziende private che investono soldi per avere un ritorno, naturalmente economico e non di gloria. Chi non è d’accordo con questo ha un’unica arma: quella di rompere le proprie abitudini, smettere con la F1 e la MotoGP, e non dovrebbe essere un grosso sforzo visto le critiche, e scegliere un’altra categoria del motorsport. Ci sono la Indycar, il Mondiale Endurance, lo SportsCar Championship dell’IMSA, il GT World Challenge Europe, la NASCAR, il mondiale endurance motociclistico, i campionati motociclistici nazionali, le serie giapponesi, asiatiche e quelle sudamericane… Insomma, ce n’è per tutti i gusti. Sia per chi vuole lo sport spettacolo, sia per chi ama il solo motorsport. Nessuno avrà ragione, nessuno avrà torto, semplicemente ognuno avrà ciò che cerca. E se Liberty Media e Dorna prospereranno con i loro campionati, ben venga per queste aziende e per i loro utili. In caso contrario, le responsabilità sportive, e le perdite economiche, saranno solo le loro.

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