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Bologna

A parti invertite con Emilio Marrese

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1000CUORI: Classe 1967, nato a Napoli, una vita tra Roma e Bologna, che cosa hai “preso” da ogni città dove hai vissuto e come vive Emilio Marrese la città.
MARRESE: Essendo cresciuto a Bologna, dove ho vissuto due terzi della mia vita, mi sento bolognese. Credo di aver preso tutto quello che potevo da Bologna, nel bene o nel male, ma preferisco evitare luoghi comuni sulla “bolognesità”. Da Napoli forse ho preso il senso per il mare. Di Roma prendo i panorami (dal motorino) e soprattutto lo stipendio.
1000CUORI: Sport,costume,spettacolo,scrittore ,uno spaziare su tanti fronti, ma in che cosa sei più a tuo agio e quale di queste tematiche ti coinvolgono di più nello scrivere?
MARRESE: Mi diverto di più a scrivere di spettacolo avendo, nei confronti di quel mondo, un occhio ancora disilluso e curioso da “fan”, quasi da feticista nello specifico del cinema. Poter parlare con Woody Allen, Clint Eastwood o Roman Polanski – solo per citare alcuni artisti che ho avuto la fortuna di incontrare – è stato molto emozionante. Come sentire Uma Thurman che mi dice, con voce rauca al telefono, “chiedi pure, sono tranquilla sdraiata a letto”. Converrete che è meglio rispetto a un’intervista a Rosario Biondo (ve lo ricordate?). Il calcio di oggi, per molti motivi comuni a tanti e facilmente immaginabili, non mi appassiona più come un tempo e talvolta mi dà perfino la nausea. Riesco a “sopportare” solo le partite del Bologna, per affetto. Il resto lo seguo per dovere.
1000CUORI: Parliamo di un libro vecchio tra virgolette, ma scritto da un Marrese giovanissimo “Bologna fortitudo” cosa ricordi di quell’opera ?
MARRESE: Fu il primo libro sulla storia della Fortitudo mai pubblicato. Il lavoro di ricerca fu enorme e richiese parecchi mesi, per questo lo considero la mia tesi di laurea (visto che quella vera non l’ho presa…). Nonostante le imperfezioni e le ingenuità stilistiche (avevo 25 anni…), ne vado molto orgoglioso.
1000CUORI: Il libro mi da’ un assist nel chiedere se Bologna tempio di basket city, oggi può vivere senza il derby e priva di una società storica come la Fortitudo?
MARRESE: Purtroppo, o per fortuna, si impara a vivere senza tante cose ben più importanti. Se New York ha fatto a meno delle Twin Towers, noi possiamo sopravvivere senza una partita… Però è evidente che un bel pezzo di Bologna se ne sia andato. Siena senza Palio non sarebbe Siena. Non possiamo paragonare il nostro derby a quella secolare tradizione storica, però Basket City senza basket è indubbiamente più triste e depressa. Prima o poi il derby in qualche modo tornerà, e credo che anche i virtussini, dopo aver legittimamente goduto delle disgrazie di noi fortitudini, adesso ci rimpiangano. L’elettricità di quelle sfide attraversava tutta la città, la tensione e l’eccitazione dei derby, da quelli degli anni Settanta fino alla sbornia stellare degli anni Novanta, manca a tutti. Beato chi li ha vissuti: mi spiace per i ragazzi di oggi, non sanno che si sono persi.
A questo proposito sono io che approfitto dell’assist per dirti che, partendo proprio da questa botta di nostalgia, ho scritto un piccolo romanzo che uscirà con Pendragon a dicembre e si dovrebbe chiamare “9 giugno 2012: il terzo scudetto – Una Fortitudo da sogno”. Una specie di instant book su un trionfo immaginario. Troppo facile fare un instant book su uno scudetto vero, infatti torno alla Fortitudo nel suo momento peggiore dopo vent’anni. E’ un gioco che ho voluto fare fingendo che nulla fosse successo in questi anni, che Basket City fosse sempre quella di una volta. Ho inventato la cronaca dell’ultima giornata, quella della finale scudetto contro ovviamente la Virtus, vissuta attraverso gli occhi di quattro protagonisti: un massaggiatore, il capitano, il vice allenatore e un capo della Fossa. Non è una provocazione ma un’allucinazione benigna, un esorcismo, un modo per omaggiare un amore e un popolo afflitto, volando più alto almeno con la fantasia sopra le meste e avvilenti dispute legate all’attualità, dalla quale mi astraggo per autodifesa.
1000CUORI: Che Marrese era nel 1993 e negli anni di quel libro, sogni speranze ambizioni… Parla pure a ruota libera….
MARRESE: Un ragazzo di 26 anni molto fortunato, appassionato, troppo presuntuoso e un po’ ingenuo. Qualche sogno l’ho realizzato, come dicevo, e qualcun altro no. Come tutti.
Grazie allo sport ho praticamente esaudito tutti i desideri da ragazzino: assistere da inviato a tre Olimpiadi, tre Mondiali e tre Europei, ad esempio, è stato fantastico. Sono tanti l’ “io c’ero” che posso dire. Era quello che più avrei voluto ai tempi del liceo e sono stato davvero fortunato a trasformare una passione in un lavoro. Anche se poi questo finisce progressivamente per stemperare e ridurre al minimo quella passione iniziale. Ad esempio, poter scrivere un articolo nella notte di Berlino 2006 è stato forse un apice nella carriera, ma ancora meglio è stato scoprire che rimaneva comunque più emozionante il Mundial ’82 visto coi miei amici alla tv.
1000CUORI: 2010 “Via Volontè numero 9” e a Roma vince il Roma independent film festival, per la serie “tutto quello che faccio diventa oro”, raccontami un po’ come nasce l’idea di questo documentario e la storia trattata. 
MARRESE: L’attore e regista Rolando Ravello mi ha coinvolto in questo suo progetto e io gli ho dato una mano, dal punto di vista giornalistico, trovandogli la situazione che stava cercando e realizzando insieme a lui le interviste e il montaggio di questo documentario che racconta la vita all’interno di una casa occupata. Bella esperienza.
1000CUORI: Stesso anno e cambio di abito, con un romanzo ( che consiglio a tutti), la “Rosa di fuoco” ,che unisce storia,calcio e politica in una storia coinvolgente , e un clamoroso successo editoriale,
Come ti viene l’idea?
MARRESE: Leggendo di sfuggita un episodio autentico nella storia del Barcellona, quando nel 1937 organizzarono una tournée in Messico e Usa per sfuggire alla guerra civile e salvare la squadra dalle mire dei franchisti. Un viaggio dal quale tornarono solo pochi giocatori. Ho approfondito quella vicenda un po’ oscura e poco conosciuta, anche in Spagna, leggendo molto, spulciando archivi e reperendo anche qualche testimonianza diretta. Poi l’ho romanzata costruendoci sopra un giallo. Il risultato per fortuna è piaciuto e il libro ha vinto il Premio Coni per la narrativa sportiva l’anno scorso.
1000CUORI: Una domanda che ti hanno già fatto: cosa è per te Barcellona e perché ti ha colpito fino a farne un libro questa storia che unisce calcio e guerra civile?
MARRESE:  Adoro Barcellona e la frequento, da turista o per lavoro, da prima ancora della ristrutturazione delle Olimpiadi ’92. E’ una città magnifica e affascinante dove mi piacerebbe vivere perché unisce il meglio della natura mediterranea ad un’organizzazione e una mentalità progressista da Nord Europa. Il suo carattere contraddittorio e anche ostico la rende ai miei occhi ancor più attraente. Ha una storia meravigliosa alle spalle, molto densa, ricca, passionale e drammatica. Poi ha il Barcellona, e credo che da nessun’altra parte esista un legame così intrecciato e forte tra una squadra di pallone e la storia, lo spirito e l’essenza della gente della sua terra. Se unisci a questo la mia passione per il lavoro di archivio, per la politica e per il genere noir ne viene fuori quella specie di paella che è Rosa di fuoco. Sono stato straordinariamente felice del fatto che il libro sia stato tradotto anche in catalano e castigliano da una grossa casa editrice spagnola, segno dunque che troppe stupidaggini non ne avevo scritte…
1000CUORI: Cambiamo argomento e parliamo del ” Bar sport” e della bolognesità, ma cosa significa da cittadino ormai adottato a Roma dire ” sono bolognese”?
MARRESE: Come ti dicevo prima, sono allergico agli stereotipi e anche se, come tutti, ci casco spesso, cerco quanto meno di essere prudente. Non lo so cos’è la bolognesità, non lo so se esista ancora o se mi piaccia solo pensare che esista da emigrato quale sono, continuando a pensare da lontano a una città che nel frattempo, da quando me ne sono andato, è sicuramente cambiata. E non in meglio. Essere bolognese a Roma (e siamo in tanti) è un modo per distinguersi e anche giocare sui difetti della città che mi ospita da dieci anni. Forse noi bolognesi adottivi o puri – mi piace credere – ci prendiamo un po’ meno sul serio e questo è un tratto che prediligo e sottolineo. Mi diverte a giocare al provinciale nella metropoli. Devo ammettere che siamo abbastanza stimati, qui, come gente tutto sommato efficiente e gradevole.
1000CUORI: Cosa pensi del ” bennismo “? E non pensi che tutta la vita sia un autentico “Bar sport”?
MARRESE: Il Bar Sport di Stefano Benni è stato anche per me un romanzo di formazione e lo stile della scrittura di Benni, inimitabile, una fonte di ispirazione e un punto di riferimento. Sì, la vita è un gran bar sport, sia nell’accezione positiva che negativa. L’importante è non essere la Luisona in bacheca.
1000CUORI: Ora veniamo al nostro grande amore il Bologna calcio e la prima cosa che mi viene da chiederti e’ la domanda che tutta Bologna si chiede ” ci salviamo”?
MARRESE: Spero di sì, ma con enorme fatica e le incognite sono comunque molte, troppe. Fate pure gli scongiuri: raramente azzecco un pronostico. Quindi – per non pensare alla peggiore ipotesi – potremmo anche salvarci molto comodamente come l’anno scorso, chissà…
1000CUORI: Dopo l’inizio pessimo di campionato se dovesse intervistare Zanzi e potergli fare virtualmente 3 domande cosa chiederebbe?
MARRESE: 1) Scusi, lei chi è? 2) Mi dà due biglietti omaggio? 3) Sa chi era Capra? Seriamente, non nutro grande curiosità per il personaggio, ma è in buona compagnia.
1000CUORI: Sinceramente cosa pensa di questa società sempre nell’occhio del ciclone? Intravede un futuro?
MARRESE: Ne penso male. Trovo che pecchi di incompetenza, improvvisazione, presunzione. Non le vedo un futuro: ragiona solo sull’emergenza senza nessun respiro, va avanti solo mettendo toppe. Non ha risorse economiche né idee alternative a queste.
1000CUORI: Una gag su un video con Ulivieri che ho visto su you tube dove le dice in modo scherzoso che di calcio non ne capisci, ma e’ vero?
MARRESE: Verissimo. Tatticamente e tecnicamente ci capisco ben poco (di sicuro zero confronto a Ulivieri). La tattica non mi ha mai appassionato. Ho una visione generale del calcio che a volte, come inutilmente ho spiegato anche allo stesso Ulivieri, può essere più lucida e utile della sua: lui, col suo microscopio ipersofisticato, perse di vista quella visione generale e tenne fuori Baggio con la Juve combinando quel popò di casino… Del calcio amo le storie, le suggestioni, i personaggi, gli intrecci incredibili, i risvolti sociali, le trame sorprendenti del destino, le emozioni collettive, l’adrenalina. Il 4-4-2 o il 4-3-3 mi hanno sempre lasciato indifferente. Da bambino allo stadio guardavo più gli ultras della partita.
1000CUORI:Classe 67 come me, io ho visto la prima volta il Bologna nel 75 contro l’Inter,dimmi invece la tua prima partita e come nasce il tuo amore rossoblù.
MARRESE: Bologna-Torino 0-3 nel ’76 con mio padre in curva Andrea Costa, lato verso la tribuna. Appunto a guardare più gli ultras che stamburavano e sbandieravano che non la partita. L’amore per il Bologna è cresciuto nel tempo, non è stato certo un colpo di fulmine. Da ragazzino tifavo, ebbene sì, per la Juventus (si può rinsavire e guarire: ne sono una prova vivente) e poi per il Napoli: in realtà io, sentendomi un po’ apolide, tifavo per i campioni, più che per le squadre. Cabrini, Tardelli, Bettega, Platini, Maradona… Di natura non riesco a essere fanatico e integralista e mi mettono un po’ a disagio quelli che lo sono. Non avevo radici né identità neanche nel tifo. Il Bologna è sempre stata la mia cosiddetta seconda squadra perché, emigrato da Napoli nel ’72, non era stato certo facile sentirsi subito bolognesi, anzi: a quel tempo, i marocchini eravamo noi e inserirsi socialmente non fu rapido e agevole. Il rapporto era di odio e amore verso una città che non era accogliente come si racconta, ma comunque straordinaria. Poi abbiamo imparato, col tempo, ad amarci a vicenda e questo s’è riflesso anche nel calcio: ho cominciato a soffrire come una bestia per il Bologna dopo la retrocessione in B dell’82 e da ormai tantissimi anni quella rossoblù è l’unica maglia, nel calcio, che mi appartiene. Specie adesso che sono lontano e quindi è anche un modo per ridurre la distanza: un po’ come i pizzaioli italiani emigrati che vanno a vedere la Nazionale in Germania o in Svezia. E’ un riflesso: quando vedo il rossoblù mi commuovo, non c’è verso.
1000CUORI: Gazzoni quasi rovinato dal calcio,i Menarini ce ne hanno lasciati 40 di milioni ,ora Guaraldi che non riesce a sanare il bilancio ,ma fare calcio e’ così difficile a Bologna ?
MARRESE: Evidentemente sì. Difficilissimo. Ma mica solo a Bologna: col calcio si rovinano a tutti i livelli e a tutte le latitudini. Ai vertici, chiunque negli ultimi trent’anni abbia osato sfidare l’asse Milano-Torino, ha fatto crac: Chiampan, Mantovani, Ferlaino, Cragnotti, Sensi, Tanzi, Cecchi Gori eccetera. Tutti. E Bologna non è l’unica realtà dove l’imprenditoria locale latita (o esprime molto poco): se prendiamo situazioni analoghe alla nostra, a Genova c’è Preziosi, a Firenze Della Valle, a Palermo Zamparini. Tutti “forestieri”. Tocca aspettare un forestiero anche qui, forse. Fare calcio “sostenibile” non è impossibile (vedi Pozzo), ma richiede tante capacità imprenditoriali, etiche e calcistiche: in giro personaggi che le abbiano tutte e tre ne vedo ben pochi anche altrove, in un panorama di speculatori, incompetenti e velleitari. Parlo in generale e Bologna non fa eccezione. Col senno di poi rimpiango assai una figura come quella di Gazzoni, pur criticato a suo tempo: il tempo gli ha reso onore.
1000CUORI: una domanda che rivolgo a tanti ,quale cessione estiva la ritieni la più distruttiva dal punto di vista logico di squadra, non tecnico perché altrimenti credo ramirez sia scontato!
MARRESE: Tecnicamente è più pesante l’assenza di Mudingayi. Ramirez è una cessione devastante ancora più sul piano logico che non tecnico: perché dà un segnale negativo e una misura precisa dell’orizzonte limitatissimo di questa società. Vendere il giovane migliore (oltretutto a una squadra inglese di nessun appeal) è una resa. Il messaggio che manda è: qui non c’è futuro né ambizione, vietato sognare, vietato costruire. Siamo destinati a essere vassalli, con questa società.
1000CUORI: Vedi un futuro con Zanetti che in queste ore lancia messaggi di fumo criptici a Casteldebole?
MARRESE: Onestamente non lo so. Temo però che l’attimo sia fuggito.
1000CUORI: Siamo ai saluti e vorrei chiederti un parere su questo sito ,nato quasi per caso da un gruppo di amici ,che sta avendo tanto seguito e se credi che il format di rivivere amarcord con i beniamini del passato ,sia un target che possa essere vincente.
MARRESE: La memoria è un bene prezioso da custodire e coltivare con cura e amore. Comunicare è un passatempo molto divertente. Riuscire a farlo senza pretese e senza toni esasperati è un’eccezione che va incoraggiata: in bocca al lupo.

Danieleang

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